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Food&drink
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C’è una strana nuova fissa in città: fare a gara a chi ce l’ha più piccolo.

Ebbene sì, l’ultima tendenza meneghina taccia come out i superdotati e dà il benvenuto alla nuova era in cui piccolo è bello. Macché piccolo: minuscolo è bello!

Se i minidotati che stanno leggendo hanno già stappato il Dom Perignon che tenevano in fresco per le grandi occasioni, sappiate che avete sbagliato grande occasione: in quel campo lì vige sempre la legge della grande occasione, per l’appunto…

Ma prima di arrivare a quel campo si deve passare attraverso altri pertugi (che stavolta è proprio il caso di chiamare tali), ossia i luoghi in cui dare appuntamento alla propria wannabe-Imbruttita-del-cuore, sperando di farla vostra in poche mosse vincenti.

Per mostrarvi cinture nere di corteggiamento (e sperare così che la wannabe-Imbruttita del-corazon vi sfili la cintura nera già al primo appuntamento), sappiate che il posto più chic nel quale si possa avere un rendez-vous galante è quello in cui è già tanto se riuscite a entrarci in due.

All’ombra della Madonnina in tanti continuano a tirare Madonne perché non trovano mai posto nei ristoranti e, in tutta risposta, la città Santa Madre della Nightlife li ha puniti aprendo i battenti di tanti localini minuscoli, così piccoli che se la tipa che avete invitato ha una borsetta un po’ più grossa della media faticate a raggiungere il tavolo.

Se ha uno zainetto, ciao.

La lunga lista di mini-locali si apre con il Back Door 43, il bar che ha il primato di essere il più piccolo del mondo.

Roba da Guinness in cui, però, NON  troverete di tutto, tipo la Guinness: anche la carta dei cocktail è volutamente striminzita (potete scegliere tra moscow mule, gin&tonic, americano, whiskey sour, dark&stormy, il secret cocktail e un’unica birra chiara, formato medio) e ben si sposa con i quattro metri quadrati di capienza del locale.

Solo per due persone, in pratica, assicurando così un’atmosfera intima e suggestiva, squisitamente stile anni Trenta e adatta ai palati proni all’acquolina da cocteleria e mixology.

Ovviamente è necessaria la prenotazione, ma se vi va di degustare le piccole chicche di questo whisky bar in miniatura senza rischiare un attacco di claustrofobia potete ordinare un drink d’asporto attraverso l’apposita finestrella (che fa molto Proibizionismo e speakeasy).

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L’Imbruttito che invece ha già un’Imbruttita-del-cuore alle calcagna e vorrebbe più spazio, può portarla al The Small, per farle capire meglio cosa intende: un minuscolo bistrot di diciannove mq, resi ancora meno ampi dal ricchissimo mobilio (tutto in vendita, quindi se volete fare gli sboroni e improvvisarvi intenditori d’antiquariato preparatevi a portarvi in metro un comò Luigi XVI).

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La guida ai migliori posticini milanesi prosegue con il 28 posti, un affascinante bistrot di indovinate quanti posti a sedere? 30.

Scherziamo: 28, ovviamente.

Un’oasi silenziosa affacciata sui Navigli che promette un alto tasso d’intimità, talmente alto che se sei in sala e sbagli un congiuntivo scuote il capo, imbarazzato per te, perfino il cuoco.

Quest’ultimo è Marco Ambrosino, giovane chef assai quotato che, a dispetto del cognome milanesissimo, è di origini campane e non lo nasconde nei suoi piatti (niente cotoletta alla milanese o risotto al gorgonzola qui dentro, semmai un’ottima pasta di Gragnano con mandorle, pomodoro secco e finocchio di mare).

Il pomodorino ciliegino sulla torta è che tutti i mobili di questo locale sono stati realizzati dai detenuti del carcere di Bollate (ma non sono in vendita, quindi stavolta vi salvate dal comò in metro).

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Un altro ristorante taglia XXS è l’Hambistro, vera e propria garanzia di qualità per tutto, anche per le foto da postare su Instagram: burger bun e hot dog gourmet che vi assicureranno non pochi like, oltre a quelli del vostro palato.

E se volete finalmente provare quell’Avocado Toast di cui tutti i radical shit sembrano nutrirsi, qui ne troverete uno davvero eccezionale, da leccarvi i baffetti hipster.

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Chi non crede che il junk food a stelle e strisce possa essere sano e non si vuole ricredere con gli hamburger – incredibilmente detox – dell’Hambistro, può sempre optare per una vera istituzione milanese e, in generale, italiana: la Latteria, più nello specifico quella San Marco.

La Latteria San Marco, per chi non la conoscesse (pazzo) è una Mecca per gli amanti dei menù caserecci e genuini, quelli che dal 1965 vengono impiattati senza troppe fisime, che qui non siamo mica a Masterchef: niente fronzoli, scordatevi geometrie alla Mondrian né colori coordinati, quindi se siete dipendenti da Instagram sappiate che postare la foto della zuppa di ceci o del polpettone con purè di questa latteria vi farà perdere come minimo una decina di follower.

Tuttavia quel polpettone sarà la vostra madeleine proustiana e vi riporterà indietro al tempo perduto fatto di pranzi pesantucci della nonna, merende con rosette imbottite di mortadella, pomeriggi all’insegna di ginocchia sbucciate e, in generale, spensieratezza infantile.

I tavoli sono soltanto dieci e la sciura Maria, la padrona che gestisce questo pilastro della gastronomia meneghina assieme a suo marito Arturo, non ha mai accettato una prenotazione in mezzo secolo, ma potete sempre provarci voi. (Tanto sappiamo che ci proverete).

Se qui cercate di ordinare un Avocado Toast, vi andrà bene se vi arriverà un uovo al tegamino accompagnato da un contorno altrettanto made in Italy: «Ma parla come mangi!», esclamato bonariamente dall’oste.

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Dunque non vi rimane che sbizzarrirvi nella scelta di un locale super small, e vedrete che almeno un bacetto ve lo porterete a casa (magari involontariamente, cercando di raggiungere il bagno e trasformando lo slalom tra la gente in un vero e proprio struscio).

E, se alla fine doveste scoprire che a voi i posti troppo piccoli vanno stretti, mettete in pratica la vostra abilità di evasione (innata nel DNA italiano) e guadagnate velocemente l’uscita, manco foste in una Escape Room.

Ma ricordatevi di prendere lo scontrino, meno innato nel DNA tricolore.

Credit immagine di copertina

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