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Lifestyle Food&drink
will-ferrell

Venerdì sera. Il weekend è alle porte e l’unica prospettiva che tu vuoi porti è quella di Cicciolina: una beata favazza.

Ma il tuo partner non è d’accordo. Vuole andare alla più grande megafiera del mondo del Food&Beverage biologico, un incontro dinamico, una prospettiva ecosostenibile.
La risposta Imbruttita arriva scontata: «Ma che cosa cazzo me ne frega a me che l’unico food&beverage che mi serve è all’aperitivo?»

La tua dolce metà ti fa capire che lei vale i 3/4 della coppia e risponde a tono:
«Mangi da schifo, vivi male, devi venire, devi imparare»
«Ma cosa vengo a fare che a me piace la carne, mica le foglie di fico impanate… Non troverò niente di interessante, neanche tu, lascia stare, ti porto dove vuoi, ma non lì»
«SE MI AMI, CI VIENI.»

E allora tac: domenica pomeriggio alla più grande megafiera del Food&beverage bio-eco-veg. Ecco cosa ho visto. Ma, soprattutto, ecco perché non lo farò più:

1_Si dice Food&Beverage, si intende zoo.

Basta arrivare nelle vicinanze della location per capire che sarà un pomeriggio impegnativo. Il parcheggio è più selvaggio della savana. C’è chi parcheggia sul marciapiede, chi in divieto di sosta. Uno ha affittato un’ambulanza per superare tutti. C’è chi ha invitato il nonno per un pomeriggio in famiglia e poi l’ha lasciato con due dita di finestrino aperto pur di parcheggiare in doppia fila con la scusa dell’arrivo subito.

2_Si dice Food&Beverage, si intende assalto all’assaggino.

Vi dico subito cosa ne penso: poteva funzionare negli anni ’70. Ora i clienti hanno sgamato l’inghippo. E continuare a riproporla scatena i peggiori istinti.

Quando un allestitore tira fuori un campione assaggio, la massa umana ci si fionda sopra come lingue di camaleonti sulle zanzare. Il venditore pensa che questo sia un buon modo per attirare potenziali nuovi clienti, ma invece quelli sono come avvoltoi che hanno scoperto il freezer. E infatti, prendono i campioncini e si riempiono le tasche, così da popolare le schiscette della settimana a venire.

Tu li guardi e non capisci: ma cosa c’è da correre che è tutta roba vegetariana?

3_Si dice Food&Beverage, si intende mega-inculata.

Per spiegarmi faccio un esempio.
Tra i venditori, brillano quelli che fuori da questo contesto definiresti coltivatori di rape, ma qui diventano degli specialisti della coltivazione biodinamica di chenopiadiaceae.

«Che sarebbero?», chiedi con lo sguardo ingenuo di chi è pronto a scoprire un mondo nuovo.
«Barbabietole»

«Effiga, non puoi chiamarle barbabietole piuttosto che chenopiocoseo?»
«Sì ma poi non potrei venderle a 18 euro al grammo»
«Giusto!», ti stupisci a riconoscere. Così, approfondisci la questione e dopo due chiacchiere scopri che il contadino 2.0 è un laureato in marketing allo IULM che però non è riuscito a entrare in un’azienda e si è inventato un percorso alternativo.

4_Si dice Food&Beverage, si intende la verità dietro la megainculata.

Sei ancora ricoperto di fascino dalla tecnica di vendita delle rape, quando da dietro una mano pelosa ti si posa sulla spalla. È quella di suo padre, che ti rivela che il ragazzo si vende come turbo-bio-venditore diretto, ma in verità è tutto merito suo: il fatto è che il figlio ci ha messo 12 anni a fare un esame in storia della gomma da cancellare e lui lo ha mandato a zappare la terra. Fine della storia e pure fine della poesia.

5_Si dice food&Beverage, si intende c’è una luce in fondo al tunnel

Alle 22 un altoparlante annuncia la chiusura della fiera. Sei stremato, anche un po’ brillo per gli assaggini di vino, ma senti di avercela fatta. Hai picchiato una signora che ti voleva rubare il posto nella coda dei taralli naturalisti fatti da uomini nudi, hai tirato per i capelli un ragazzino che voleva rubarti l’ultima frittella di bucce di banana e quinoa essenziale per il tuo partner, hai gambizzato un anziano signore picchiandogli l’angolo dello smartphone nella nuca, ma solo perché ti ha detto «tu sarai quello che io sono».

Tuttavia, alla fine, c’è un angolo del tuo cuore che è felice. Perché in tutto questo biondinamismo sei riuscito a scovare l’unica cosa che ha attirato la tua attenzione: un hamburger rarissimo, pagato 75 euro al grammo. Green, sostenibile, dinamico.

La perfetta unione tra la bestia che c’è in te e una parvenza di etica.

Che nella sua semplicità, per te, significa tutto: riscatto, felicità, soddisfazione.

Sali in auto, guidi verso casa, entri in cucina, apri il vino buono perché tutto sia perfetto. Poi prendi il tuo hamburger e scoppi a piangere.

Sulla confezione, in carattere punto 3, c’è scritta la peggiore delle bestemmie: è di tofu.

Credit immagine di copertina

 

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