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Al pari di Hunger Games, l’università ha da sempre creato fazioni: da un lato c’è chi sostiene che il periodo di studi universitari sia il più gioioso e spensierato della vita, dall’altro chi avrebbe preferito costituirsi piuttosto che immatricolarsi. Ma siamo tutti d’accordo nel dire che peggio dello studio ad agosto e delle scatolette di tonno a 32 centesimi mangiate a colazione, pranzo, merenda, aperitivo e cena, ci sia solo il giorno dell’esame. E l’universitario sa che quel giorno sarà duro non tanto per doversi far interrogare, quanto per i casi umani che si ritroverà davanti. Infatti, l’aula in cui sostenere l’esame pullula di esseri tali che nemmeno Dante avrebbe potuto stipare –e mandare a cagare– in qualche girone. Esseri come:

IL  FALSO ALLEATO
Da buon universitario, ti presenti il giorno dell’esame con la preparazione che avresti potuto avere alla Prima Comunione. Esattamente: non sai niente. L’alleato ti consola e rincuora, condividendo il basso livello di preparazione, solitamente aggiungendo di aver studiato giusto il tempo di cottura di un piatto di penne rigate. Finisce l’esame: tu naturalmente bocciato come una proposta d’assoluzione per Corona, l’alleato bastardo esce con un misero 30, i complimenti da Barack Obama e un decreto-legislativo del Governo promulgato per le congratulazioni. Più falso di un sorriso di Maria de Filippi.

L’ACCOMPAGNATO
Il caso umano in questione ha bisogno di sostegno morale, ma non dai suoi compagni di corso: dalla famiglia. Al pari di un matrimonio barese, l’accompagnato arriva con la mamma, la nonna con la foto del nonno – purtroppo – mancato, il padre, il figlio illegittimo del padre, il vaso Ikea del bagno di casa e due pulmini coi parenti fino al sesto grado. Qualora l’esame dell’accompagnato non andasse come previsto, solitamente interviene un membro della famiglia che, col fare di Santi Licheri, impugna la sentenza della commissione e verifica la legittimità del voto coerentemente con l’esposizione. Da ergastolo.

LO STAKANOVISTA
Lui ha sempre fatto qualcosa in più: se il corso in questione è stato erogato nell’anno corrente, lui studia già dal 2002. Se gli fai presente di esserti preparato anche sulle slides del professore, lui le slides le ha scritte COL professore. Di sua indole, tende a screditare il lavoro altrui pur di rendere il proprio l’emblema della perfezione; tipo: «Son davvero stanco, son settimane che non faccio altro che studiare per quest’esame», e lui: «Eh, cosa devo dire io che non dormo da 68 ore?». Boh un cazzo di niente in realtà perché nessuno te l’ha chiesto.

LA SERENA VAN DER WOODSEN
La suddetta vive il giorno dell’esame come se fosse il Met Gala o come se in commissione ci fosse Miranda Priestley pronta ad arricciare le labbra giudicando la sua originalissima Michael Kors. Lei non viene per fare l’esame, lei vuole essere esaminata, come se l’universitario in attesa di sapere di che morte morire avesse tempo di fare l’RX all’ombretto color pesca tendente alla minchia che gliene frega. Stai serena ciccia, che lo sappiamo tutti che a casa stai serenamente sul divano col pigiama nei calzini Primark.

IL «AH, DAVVERO?»
Esame cominciato, appello dei presenti già fatto. Con la stessa calma di Madre Teresa di Calcutta, l’essere arriva domandando:
«Questo è l’esame di Storia Contemporanea, vero?»
«No, in realtà di Diritto Privato.»
«Ah, davvero?»
Perlomeno diglielo la prossima volta a tua madre: non solo di iscriverti all’università, ma magari di insegnarti come si sta al mondo. E non c’è un corso da seguire, purtroppo. Purtroppo no.

Credit immagine di copertina

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