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Premetto: questo post non è sponsorizzato. Non sono qui a proporvi la tisanoreica o a promuovere la dieta di Alberico Lemme. Non sono (ancora) una celebrità e, fino a poco fa, non avevo alcuna intenzione di rinunciare alle fragole con panna o a una fetta di cheesecake formato XL di California Bakery. Perché avrei dovuto? Madre Natura è stata indulgente con me e, nonostante i difetti che scopro ogni giorno, mi ha donato un fisico asciutto, snello e tendenzialmente accettabile.

Poi ho deciso di iscrivermi in palestra e da quel momento sono iniziati i problemi. Primo, perché ho finalmente capito come Brad Pitt è riuscito a ottenere il suo fisico in Fight Club (e credetemi, dopo verrà voglia anche a voi di ammazzarvi), e secondo perché ho scoperto di essere un falso magro. Che cosa vuol dire? Che sono magro, sì, ma ho comunque un eccesso di massa grassa. Che è superiore alla massa magra e che ai muscoli servono proteine e quindi, se voglio gli addominali di Shawn Mendes e i bicipiti di Zac Efron, devo rinunciare agli zuccheri e dimezzare i 150g di pasta che mi concedevo ogni sera. Oltre, ovviamente, ad ammazzarmi di esercizi e pesi in palestra.

E così 12 giorni, 264 ore e 15.840 minuti fa (quando leggerete questo mio sfogo saranno aumentati insieme alla mia sofferenza) è iniziata la prima dieta della mia vita.

Le allucinazioni sono comparse subito. Per esempio, quando fissavo il merluzzo bollito nel piatto e vedevo la parmigiana di mia nonna. O anche quando, in pausa pranzo, elencavo a voce alta i piatti che avrei voluto divorarmi: pensavo di essere a tavola con i miei colleghi e invece ero, solo come un broccolo, davanti alla mia insipida schiscetta di pollo, pasta integrale scondita e verdure come contorno.

Ma non voglio solo lagnarmi. Voglio anche farvi capire perché mi lagno. Per esempio, perché ho scoperto che tutto ciò che trovate in giro al supermercato ha una quantità sufficiente di zucchero che si posa direttamente sui fianchi. L’hamburger vegano a chilometro zero con semi di lino biologici e confezione ricavata dalla canapa? Ce l’ha. La minestra di verdura fresca e leggera con i crostini in omaggio? Pure. E che cazzo!

Poi arriva il momento in cui devi cominciare a pesare gli ingredienti. Ma come? Anche l’olio si pesa? E io che, memore degli insegnamenti di mia madre, lo facevo piovere a volontà su qualunque cosa stessi cucinando, perché fa bene al cuore.

Barcollo, ma non mollo. Mi faccio forza e supero indenne i primi sei giorni. Proietto tutta la mia gioia di vivere verso quell’unico momento in cui posso concedermi lo sgarro. Cioè il giorno a settimana in cui non devo per forza ripiegare su una galletta al sapore di suola di scarpe, ma posso ingurgitare una pizza senza sentirmi in colpa.

E non è forse una metafora della vita, questa? Vivere un disagio perenne con delle sporadiche apparizioni di gioie? È quello che mi racconto ogni giorno da quando ho cominciato questa dieta.

Che probabilmente mollerò presto. Ma che sicuramente mi ha preparato per quando andrò all’Isola dei famosi.

p.s: cogliete l’ironia dell’articolo e magnate. Magnate bene e salutare, ma magnate.

Articolo scritto da Maurizio Binetti

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