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L’ortista Imbruttito non può staccare, MAI! Nemmeno durante i rigidi mesi invernali. Anzi è proprio quando la terra si fa più dura – addirittura congelata – che i duri devono iniziare a vangare. O almeno dovrebbero…

Già, perché pur con tutte le buone intenzioni, io ho capito di non essere propriamente un duro. Alla fine della bella stagione ho piantato nel mio orto urbano le colture per l’inverno e credevo di essere entrato in modalità zero sbatti. Zappe ben riposte nel gabbiotto degli attrezzi, erbacce estirpate e irrigazione non più necessaria. Ho pure comprato un manuale per studiarmi tutti i segreti dell’orto biologico. Al calduccio della mia cameretta, s’intende.

In pratica, in questi mesi invernali l’intenzione era di dedicarmi all’approfondimento teorico e recarmi all’orto esclusivamente per raccogliere e solo quando sollecitato. Quei momenti in cui la mia dolce metà, nel bel mezzo di un freddissimo weekend destinato al letargo e alla serie A, richiede espressamente una verza (o un cavolo rosso), perché se no bisogna andare al supermercato a comprare la verdura.

Ecco, questa è l’unica frase in grado di stimolare il mio orgoglio ferito di agricoltore per caso. Al Super mai! Abbiamo le nostre verdure di stagione e vado subito a raccoglierle!

Parte quindi la complicata vestizione del guerriero. Mentre d’estate ho una serie di magliette destinate ai piaceri dell’attività agricola, ora bisogna coprirsi. E pure bene!

Decido di sacrificare dal fondo dell’armadio dei vecchi jeans e un giubbotto che usavo per andare a far serata all’Alcatraz. Bei tempi! Inutile dire che, essendo passati troppi anni, va tutto strettissimo e assomiglio più all’omino Michelin che a un bioagricoltore del 2020.

Scelgo di uscire di casa nelle ore meno fredde, muovendomi tra la nebbia e il fango. Sperando di non incrociare nessuno dei ragazzi di campagna, che altri non sono se non i miei vicini di orto pensionati. Credo che la media abbia superato abbondantemente i 70 anni ormai. Elsa Fornero aiutami!

In realtà loro sono sempre presenti. Nell’area comune, destinata alle grigliate durante la bella stagione, hanno acceso un fuoco e giocano a carte. Anche la briscola è per uomini duri e si vede che al bar hanno aumentato il prezzo del grappino.

Mentre cerco di fare in fretta e raccogliere in tempo zero tutto ciò che mi serve, mi devo sorbire un pippone su come bisognerebbe gestire l’orto in inverno. Prima di tutto, secondo loro, dovrei costruire dei tunnel tipo piccole serre ricoperte di nylon per evitare che le gelate rovinino il raccolto. Spiego che in realtà con le giornate corte non ho molto tempo da dedicare all’orto visto che quando entro ed esco dall’office è sempre buio. Però punto molto sul riscaldamento globale che evita il congelamento dei cavolfiori. Greta Thunberg flagellami!

Secondo altri, dovrei vangare tutto e concimare quanto prima. Spiegano di aver organizzato un gruppo d’acquisto letame e mi invitano a partecipare. Da una cascina vicina un trattore arriverà magicamente un sabato mattina e lì ci sarà la spartizione solenne del prezioso carico. Ricordo che negli anni scorsi ci furono delle litigate fuoribonde. Amicizie pluridecennali rovinate per una carriola di emme in più. Declino con il sorriso. Se sapessero che pur di evitarmi tali situazioni ho acquistato (a caro prezzo) del letame in sacchi da un consorzio biologico penso perderei ogni residuo granello di simpatia ai loro occhi.

In realtà la loro stima nei miei confronti è già stata seriamente compromessa dalla decisione di non seminare nulla a novembre. Metti giù le fave, l’aglio e i piselli che te li ritrovi a primavera, dicevano. Non li ho ascoltati, rimandando tutto a febbraio tra il dissenso generale.

Mentre me ne sto andando, vengo tirato dentro alla discussione del momento. In pratica il Don della vicina parrocchia ha regalato ad un mio amico ortista una statua di Sant’Antonio e bisogna trovargli una casa. Parte quindi la colletta per costruire una piccola cappella. Siamo circa settanta concessionari d’orto. Che uno sia o meno credente, non è male realizzare un’opera comunitaria che durerà nel corso degli anni. Con pochi euro a testa verrà fuori un bel lavoro collettivo. Fa comunità, penso.

Molti partecipano alla raccolta fondi, addirittura qualcuno sponsorizza dall’esterno. Tanti invece si defilano con stile. Chi si professa ateo, chi musulmano. Altri fanno apposta a eludere le richieste di contributo. Chi ipotizza si tratti di abuso edilizio. Uno addirittura, dopo essersi raccolto in preghiera per circa dieci minuti, afferma che nonostante la statua del Santo protettore grandinerà lo stesso e, quindi, non ravvisa l’utilità della costruzione di una cappella votiva.

Mentre tra me e me ragiono sui massimi sistemi e sulla pochezza del genere umano riesco a uscire dagli orti urbani con il mio prezioso carico di verdura fresca. Il gelo mi è entrato nelle ossa.

Dopo una bella doccia bollente di circa mezz’ora (a proposito di sostenibilità) scatta una cena a lume di candela. C’è la nostra verza a fare da contorno alla romantica atmosfera. È buona, anzi ottima. Però sai amore, ho letto su qualche gruppo Facebook (il manuale sull’orto biologioco casualmente non l’ho ancora aperto) che per fare rendere bene le coltivazioni in estate la terra deve riposare quando fa freddo. Il prossimo anno non casca il mondo se d’inverno andiamo qualche volta al super!

Work in progress per la cappella di Sant’Antonio

Di seguito i link alle le precedenti puntate dell’Ortista Imbruttito:

Puntata 1: Ho iniziato a coltivare un orto urbano e la situazione mi è decisamente sfuggita di mano!

Puntata 2: Diario (aggiornato) di un ortista Imbruttito

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