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Dediti al fatturato sì, incoscienti no. Ed è per questo che Milano e i milanesi stanno correndo ai ripari – come possono – da quando il Coronavirus è diventato una minaccia reale. Lo sappiamo, la città si è svuotata: scuole chiuse, aziende che, se possono, fanno lavorare i dipendenti in smart working da remoto, centri commerciali deserti proprio come i mezzi pubblici e le strade, solitamente brulicanti di gente. Questo ritratto non può che anticipare conseguenze pesantissime anche per l’economia, inevitabilmente congelata.

Proviamo a capire meglio il peso di questi contraccolpi. Stando all’ultimo rapporto dell’Istat sul Pil dell’Italia datato 2017, il peso delle regioni del nord è stato pari a 1.725 miliardi di euro circa, con la Lombardia che ha contribuito per ben 383,2 miliardi. E adesso? Considerando che la nostra, al momento, è la regione più colpita dal virus, si stima che il blocco delle attività produttive per una settimana produrrà una diminuzione del Pil di 7 miliardi. Che decisamente non sono noccioline.

Milano è una delle città economicamente più dinamiche al mondo. Diamo solo qualche numero, per capire meglio: la nostra è la prima provincia italiana per imprese manifatturiere, con oltre 200mila dipendenti nel settore. Secondo l’Osservatorio Milano 2019 di Assolombarda, sul territorio ci sono circa 10.700 imprese a proprietà estera. Non solo: secondo lo stesso rapporto, Milano è terza in Europa in merito all’attrazione di turisti, tanto che solo nell’ultimo anno ha registrato una crescita dell’8,7%.

E dunque, cosa ci dicono questi numeri? Che il congelamento imposto, giustamente, in risposta al Covid-19, può causare (ha già cominciato a farlo) pesantissime ripercussioni sull’economia meneghina. Ad esempio, da quando è scattato l’allarme, i consumi di energia sono calati dell’8,5% rispetto ai lunedì delle ultime settimane. Sui treni pendolari di Trenord hanno viaggiato 350mila persone, il 60% in meno del solito. E che dire del turismo: gli hotel stanno affrontando inevitabili disdette, pari un terzo delle prenotazioni. E che ne sarà di ristoranti, bar, pub e locali protagonisti della famosa movida? Secondo la Federazione pubblici esercenti la chiusura di birrerie, discoteche e locali notturni costa 3 milioni al giorno. Stessa sorte per i negozi griffati di Montenapoleone, che dopo aver perso i turisti cinesi (che qui spendevano ben 300 milioni l’anno) ora hanno perso anche la clientela locale.

Gli unici che sembrano guadagnarci, in questo momento, sono i supermercati. La psicosi di una buona fetta di cittadini ha permesso alla Coop di vedere le vendite di domenica salire in media del 50%. E anche in questi giorni gli scaffali sono praticamente vuoti, nonostante sia stato ripetuto più volte che l’approvvigionamento è garantito persino nella zona rossa. E naturalmente c’è chi, in questo disagio generale, prova a lucrarci su: al mercato rionale di via Ghini pare che i fornitori di arance e clementine abbiano fatto sapere che aumenteranno i prezzi. E se cercate amuchina o mascherine su internet preparatevi a sgranare gli occhi: se solitamente il gel disinfettante costa 4 euro, ai tempi del Coronavirus è diventato un bene di lusso da 30 euro. E se cercate le mascherine, c’è chi vende una confezione da 5 a 189 euro. Figa che ladri.

Articolo scritto da Wendy Migliaccio

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